E’ rimbalzata su tutti i giornali a marzo la notizia dell’inclusione da parte del governo ucraino di Albano Carrisi in una lista nera contenente individui considerati una minaccia alla sicurezza nazionale, e quindi sgraditi in Ucraina. La scelta è stata motivata dalla presunta simpatia del cantante pugliese verso il presidente russo Vladimir Putin; come noto i rapporti tra Ucraina e Russia sono particolarmente tesi dopo l’annessione di quest’ultima della penisola di Crimea a seguito del referendum del maggio 2014; annessione che l’Ucraina non riconosce, e che è stata dichiarata illegittima, tra gli altri, dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti.

Qualche giorno dopo l’annuncio della notizia, alcuni parlamentari ucraini hanno richiesto una misura simile anche per Toto Cutugno, che però è riuscito a scampare il pericolo e ad esibirsi a Kiev davanti a un pubblico di più di 4000 persone lo scorso 23 marzo (non senza qualche tensione). Albano  si è detto amareggiato per la notizia in quanto “uomo di pace”, e ha minacciato di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, invitando nel contempo il Ministro degli Esteri italiano ad intervenire per ottenere l’immediata cancellazione dalla lista nera.  All’inizio di aprile, un incontro diretto tra Albano (e il suo avvocato) e l’Ambasciatore d’Ucraina in Italia sembra aver posto fine alla questione, con gran sollievo di Albano e dei suoi fan esteuropei.

La notizia è stata accolta in Italia con stupore e anche inevitabilmente con un certo grado di ironia; ma offre l’occasione di una breve riflessione più generale sulla geografia e sul potere (economico e politico) della musica.

E’ incredibile il successo che una serie di cantanti italiani della vecchia guardia riscuote nei paesi dell’Est Europa. Non solo Albano e Toto Cutugno, ma anche Celentano, Matia Bazar, Ricchi e Poveri o Pupo, sono molto popolari nei paesi dell’ex blocco sovietico, tanto che molti di loro occupano una rilevante nicchia di mercato ed effettuano frequenti e remunerative tournée. In ottica nazionale, si tratta di un fenomeno molto interessante. In una fase in cui si discute in sede legislativa di inserire “quote” di musica italiana nelle radio per contrastare un percepito predominio delle canzoni in lingua inglese, vale la pena ricordare che nella geografia musicale del mondo l’Italia non rappresenta sempre e solo la periferia.

Pare che le origini del successo della musica italiana nei paesi dell’est siano da ricercare principalmente negli anni ’80, quando la televisione di Stato decise di mandare in onda il festival di Sanremo.  Anche se in forma ridotta e in differita, il festival fu estremamente apprezzato dal pubblico, e con esso alcuni dei cantanti italiani, che ancora oggi vantano una fama notevole nei paesi ex-comunisti dell’Europa centrale e orientale. In piena guerra fredda, la manifestazione (e con essa la musica italiana) rappresentavano una finestra sul mondo diverso, e perciò stesso interessante e attraente. Il pubblico che frequenta oggi i concerti di Toto Cutugno o di Albano in Ucraina è per lo più composto da persone non giovanissime, che ricordano questo periodo e sono spinte da un effetto nostalgia.

Tuttavia, oltre a questo, non è da sottovalutare il fascino che in questi paesi (come in altri) ha esercitato ed esercita il “Made in Italy”. La musica, così come la moda o il design di lusso, hanno goduto per lungo tempo – e in una certa misura godono ancora – di una certa rendita di posizione, per il fatto stesso di essere “prodotti” in Italia. Come accade per altri settori, la musica italiana che piace all’estero è spesso figlia di stereotipi, che poco hanno a che fare con la produzione musicale attuale. Accade così che artisti famosissimi in Italia (Vasco Rossi, Ligabue, Jovanotti…) all’estero siano dei perfetti sconosciuti, mentre artisti che rispettano maggiormente una tradizione melodica e del “bel canto” (Laura Pausini, Andrea Bocelli, i giovani de Il Volo…) riscuotano all’estero un notevole successo. Su questa scia, vi sono poi i casi di artisti sconosciuti in patria e che costruiscono la loro carriera esclusivamente all’estero, giocando sulla loro “italianità”.

Il mercato estero rappresenta una importante fonte di reddito per molti cantanti italiani e dunque, in una certa misura, per la musica italiana nel suo complesso. Per Albano l’est Europa rappresenta sicuramente un mercato di riferimento; e si capisce meglio il perché della querelle legata alla questione della lista nera, che avrebbe materialmente (e notevolmente) danneggiato il tenore pugliese.

Ma oltre al valore economico, l’episodio che ha visto coinvolto Albano dice qualcosa anche sul valore più strettamente politico della musica. Le motivazioni alla base della scelta del governo ucraino di inserire il cantante nella lista nera non sono state rese note; ma è più facile pensare che la presunta amicizia con Putin abbia nuociuto alla reputazione di Albano nel suo ruolo di personaggio pubblico e cantante, più che come individuo. In altre parole, è difficile pensare che Albano fosse sospettato di poter compiere atti che mettessero a rischio la sicurezza nazionale, mentre è più plausibile che le sue opinioni e simpatie fossero considerate una minaccia in quanto lui e la sua musica sono stimati e amati in Ucraina.

Dello specifico potere politico della musica, basato sulle emozioni che riesce a suscitare e sul carisma di determinati cantanti, ho in parte già scritto parlando di U2 e Unione Europea: la musica rappresenta un linguaggio universale, che ha una sua propria capacità di veicolare messaggi e valori, inclusi quelli legati all’identità e all’appartenenza. Temi delicati nell’Ucraina di oggi, in particolare nel suo rapporto con la Russia. Inoltre il caso ucraino offre un’ulteriore interessante prospettiva, mostrando in maniera molto concreta come, in un mondo globalizzato, la relazioni internazionali e gli equilibri geopolitici non passino più solamente attraverso i formali canali diplomatici, ma coinvolgano una serie sempre più ampia e variegata di attori. A volte anche i più impensati.