“La strada giusta, 48 donne in copertina per una nuova geografia” titola la rivista Vanity Fair il numero 12. Come riportato sul sito, “Vanity Fair lancia un numero speciale che celebra i talenti femminili che stanno scrivendo la nuova geografia sociale, culturale, politica ed economica del nostro Paese. Insieme a loro e ai più importanti Comuni d’Italia, il settimanale di Condé Nast si è fatto promotore dell’intestazione di strade e piazze ad artiste, scrittrici, scienziate e pioniere che hanno fatto la Storia”.

Una iniziativa lodevole che da visibilità a 48 professioniste di meritato successo che citano altrettante donne a cui chiedono venga intitolato un pezzo del nostro territorio. La rivista, dunque, si riferisce ad una nuova “geografia” in due sensi: quella delle donne che dovrebbero riempire i nomi delle nostre strade (per cui si potrebbe più propriamente parlare di toponomastica), e da cui sono troppo spesso ingiustamente assenti, e quella delle donne che stanno in qualche modo scrivendo una nuova geografia del ruolo femminile. A partire da questo, è interessante sviluppare una riflessione su un’altra “geografia”, quella che emerge partendo dalla distribuzione di questi profili sul territorio italiano.

Vanity Fair ci ha detto chi sono e in cosa eccellono, ma da dove vengono e dove spendono le proprie competenze queste eccellenze italiane? Con una breve ricerca su Wikipedia (che quindi potrebbe anche contenere qualche informazione inesatta) sembra che su 48 donne selezionate solo 12 siano nate al Sud Italia. Di queste, poi, solo pochissime hanno continuato a viverci e lavorarci: nello specifico, solo 4. Le altre vivono e lavorano al Nord o fuori Italia.

Perché la maggior parte delle donne citate sono nate, cresciute e affermatesi al Nord? È una questione di selezione dell’editore oppure è più complicato trovare donne di successo meridionali da portare in copertina?

Non ho a disposizione una risposta, probabilmente si tratta di un mix delle due ipotesi, ma questo consente comunque di rilanciare una riflessione sugli squilibri territoriali che caratterizzano il nostro paese. E’ evidente come talenti che nascono e vivono in un luogo e poi portano le proprie competenze altrove, a causa di disparità e mancanza di opportunità, causano un danno economico e sociale per il territorio di partenza a beneficio di quello di arrivo. A questo proposito si potrebbero citare moltissimi studi, a partire dai lavori sulla creative class di Richard Florida, e su come l’attrazione e il radicamento della “classe creativa” rappresenti il vero capitale per lo sviluppo del territorio. 

Da questo punto di vista, la “selezione” fatta da Vanity Fair, forse inconsapevolmente, rende evidente il divario tra il Nord e il Sud del paese, che inevitabilmente intreccia anche le questioni di genere. Le minori opportunità che in termini generali caratterizzano il Nord e il Sud, infatti, si ingigantiscono quando si tratta di donne, per ragioni economiche e in alcuni casi culturali. E non si tratta solo di maggiore difficoltà di emergere, ma spesso anche di una diversa possibilità di fare carriera, anche a parità di talento.

Sarebbe interessante che Vanity Fair continuasse la sua riflessione sui talenti femminili tenendo conto anche di queste disparità e squilibri. E sarebbe interessante incentivare una discussione su come supportare i talenti femminili a restare al Sud impegnando le proprie competenze a favore dei propri luoghi di origine.

Partendo da questi elementi che rendono il dibattito sull’empowerment femminile, purtroppo, ancora troppo sbilanciato resta infatti da chiedersi se basta intitolare delle strade a dei talenti femminili per smuovere il dibattito sul tema o se non sia il caso di soffermarsi su questioni relative a politiche di genere ponendo l’accento anche sulle disparità territoriali che così pesantemente le influenzano, soprattutto in giornali con un’audience così ampia come Vanity Fair.

Per concludere, se la rappresentazione fornita da Vanity Fair è uno specchio reale della distribuzione dei talenti femminili in Italia, tocca chiedersi: siamo sicuri che questa sia la strada giusta?