Sabato 18 maggio sarà trasmessa su Rai 1 a partire dalle 21 la serata finale di Eurovision, in diretta da Tel Aviv. Lo scorso anno infatti a vincere la gara è stata la cantante israeliana Netta, guadagnando per il suo paese (da regolamento) il diritto ad ospitare la kermesse canora per il 2019.
Eurovision rappresenta una gara molto particolare. Si tratta infatti dell’unica manifestazione non sportiva – insieme ai defunti Giochi senza frontiere – in cui la sfida è tra paesi, per mezzo di persone che li rappresentano. La manifestazione è stata creata nel 1956 seguendo l’esempio del nostrano festival di Sanremo, come strumento per promuovere l’Unione Europea di Radiodiffusione. Dal 2015 partecipa all’Eurovision anche l’Australia, ammessa in considerazione del grande successo di pubblico che da sempre la manifestazione riscuote nel paese.
Trattandosi di una gara tra paesi e loro rappresentanti, l’importanza attribuita alla musica è almeno equiparata dall’importanza attribuita ad altri fattori, più propriamente geopolitici. Così come nelle Olimpiadi la conta delle medaglie guadagnate da ciascun paese risulta rilevante quanto le singole gesta sportive, così in Eurovision la vittoria è del paese, e non solamente del singolo cantante. Così come le Olimpiadi, durante e dopo la guerra fredda, hanno rappresentato uno scenario pacifico per tentare di mostrare al mondo il proprio valore (e la propria superiorità rispetto agli “avversari”), così Eurovision, nel suo piccolo, mobilita un sentimento di identità e di appartenenza che va ben oltre il contenuto musicale.
La dimensione geopolitica in Eurovision è enfatizzata dal meccanismo di voto: le giurie nazionali – composte da esperti nominati da ciascun paese – possono votare chiunque, tranne il proprio paese. La procedura di voto è parte integrante dello spettacolo, con collegamenti in diretta con ciascuna delle giurie che esprimono le loro preferenze. Dal 2001 si è aggiunto poi il televoto del pubblico: anche in questo caso, non si può votare per il proprio paese di appartenenza. Durante le serate della kermesse anche i social network si scatenano, riempiendosi abitualmente di commenti e stereotipi relativi ai paesi, più che ai singoli cantanti. Non è un caso che la valenza geografica e geopolitica di Eurovision sia stata ampiamente studiata dentro e fuori dall’Accademia, ad esempio esplorando se dietro il voto dei diversi paesi siano rintracciabili dei blocchi (e dunque accordi nascosti), o se il fattore più rilevante per spiegare l’andamento del voto sia la geografia dell’influenza culturale esercitata da alcuni paesi rispetto ad altri.
Sotto il profilo dello spettacolo, l’Eurovision rappresenta una immersione – spesso molto kitsch – in diversi stili musicali ed estetici. Inoltre vincere la kermesse – e dunque poter ospitare l’evento nell’anno seguente – rappresenta una importante occasione di visibilità per un Paese o una città, similarmente a quanto avviene per altri tipi di manifestazioni culturali.
Tuttavia, la geopolitica ne rimane l’aspetto più interessante (e studiato). Quest’anno poi, alla dimensione di “geopolitica popolare” che da sempre caratterizza l’evento, si accompagna una delicata questione di politica internazionale. Sin dal 2018 infatti attivisti e artisti hanno dato vita a un movimento di protesta contro la kermesse e chiedono di boicottare l’evento ospitato da Israele; protesta che si è ulteriormente esacerbata viste le tensioni e i bombardamenti degli ultimi giorni. Diversi paesi e artisti internazionali hanno fatto propria la richiesta di boicottaggio della manifestazione. Come conseguenza, questa edizione dell’Eurovision è stata definita la più controversa di sempre.
Dopo vari anni di assenza, l’Italia ha ripreso a partecipare attivamente alla kermesse solo dal 2011, con un crescente interesse da parte del pubblico (testimoniato dalla rapida scalata della serata finale della trasmissione da Rai4 a Rai2, per arrivare a Rai1). Il cantante in gara è normalmente il vincitore del Festival di Sanremo in carica, e così sarà anche quest’anno, con il milanese Mamhood e la sua Soldi, parzialmente ri-arrangiata per l’occasione. Dopo le polemiche lunghe (e un po’ ridicole) del dopo-festival legate alla nazionalità (egiziana) di suo padre – tra l’altro seguite da un analogo sfoggio di pregiudizi da parte dei giornalisti presenti alla conferenza stampa dell’Eurovision, è la seconda volta in pochi mesi in cui il bravo Mamhood partecipa a una competizione canora segnata da polemiche totalmente estranee alla dimensione musicale.