Come ogni anno, il Festival di Sanremo è stato accompagnato da valanghe di critiche, commenti ed elucubrazioni di ogni genere. Quest’anno, però, ci è parso che si sia veramente detto tutto e il contrario di tutto, e che siano stati passati al setaccio una quantità infinita di argomenti. Tra i tantissimi articoli dedicati all’evento abbiamo letto delle disamine sui discorsi fatti, e su quelli non fatti; abbiamo analizzato la presenza delle co-conduttrici, a volte relegate al ruolo di vallette; abbiamo criticato l’uso strumentale di tematiche forti; ci siamo interrogati sul rapporto tra diverse generazioni e sul loro sguardo sul mondo; ci siamo confrontati sugli outfit ripetitivi e sulla poca chiarezza del protocollo da seguire per omaggiare gli ospiti con i fiori di Sanremo.
Non vogliamo, dunque, aggiungerci alla pletora di discussioni trite e ritrite, vogliamo solo soffermarci su un aspetto, forse triviale, ma che ci sembra un segno molto chiaro del tempo che stiamo vivendo.
Amadeus, arrivato oramai alla sua terza (e probabilmente non ultima) conduzione, annuncia alla vigilia della 72° edizione che questo sarebbe stato il Festival della gioia e della leggerezza. Già lo scorso anno avevamo notato come tematiche rilevanti nelle edizioni precedenti del festival, a cominciare dalla politica, fossero state lasciate fuori dal teatro Ariston, alla ricerca probabilmente di momenti di svago dalla pesante situazione quotidiana. D’altro canto, ricordavamo anche come la pandemia fosse la cifra principale del festival, la cornice inevitabile e invadente all’interno della quale si muovevano presentatori e musicisti.
Da questo punto di vista il primo festival in presenza, dopo aver assistito alle scene dell’Ariston deserto dell’anno scorso, deve aver smosso qualcosa negli animi degli artisti in gara, degli ospiti, del pubblico in studio, e anche del pubblico da casa.
Complice l’empasse che attanaglia il mondo dello spettacolo da due anni, e che ha a lungo impedito concerti e spettacoli dal vivo, ci è sembrato che quest’anno la proverbiale istituzionalità del festival sia venuta meno per lasciare spazio alla voglia di divertirsi, di stare insieme, di fare musica.
In primo luogo, abbiamo notato questo cambio di passo nell’attitudine dei cantanti. Questi, generalmente paralizzati dall’imponenza del palco ma anche dalla liturgia del festival che non ha mai permesso loro di indugiare in particolari salamelecchi, si sono lasciati andare a commenti, ringraziamenti e anche a giochi e marachelle, strizzando un occhio al vero protagonista di questa edizione, il Fantasanremo.
Eh si, perché il Fantasanremo ha dato un nuovo stimolo alla kermesse, avvicinando il divario tra generazioni e spronando i cantanti a competere in una gara parallela, fatta di parole chiave e comportamenti bizzarri. Sarà stato questo il motivo per cui anche i giovanissimi, da sempre un po’ distanti dal festival della tradizione, secondo lo studio Friesel su dati Auditel, sono stati incollati alla TV per le cinque lunghe serate, raggiungendo la media del 72,65% di share sul pubblico 20-24 anni e il 71,54% sui 15-19 nella prima parte della prima serata.
Ha sicuramente aiutato avere nel cast un parterre di giovani e seguitissimi artisti (Blanco, Mahmood, Sangiovanni, Rkomi, Ditonellapiaga, Aka 7even, Matteo Romano, Ana Mena, Yuman…) che, in continuità con le scelte effettuate da Amadeus anche nell’edizione precedente, se la sono giocata con la vecchia guardia, dandoci uno spaccato variegato del panorama musicale italiano in qualche modo riflesso dal significativo podio inter generazionale.
Inoltre, non va sottovalutata la dimensione musicale, in cui più che in passato ci è sembrata diffusa la presenza di canzoni dai ritmi scatenati. Tra gli altri, D’argen D’amico, il duo Ditonellpiaga-Rettore, Rkomi, La Rappresentante di lista, Achille Lauro, Gianni Morandi e la neo-melodica spagnola AnaMena hanno portato il pubblico a ballare, sfatando il mito del pubblico dell’Ariston appisolato e sfiancato dallo spettacolo infinito. In particolare, sembra che il pubblico si sia accesso in alcuni momenti in cui ci si è quasi dimenticati che tutto stava accadendo nella cornice sanremese e non in un maxi-concerto; tra gli altri segnaliamo le esibizioni del duo Morandi-Jovanotti, e degli ospiti Cremonini e Maneskin.
La cosa interessante è che dando un occhio ai social pare che anche da casa la situazione non sia stata molto diversa, e che dopo anni di divano e plaid, orde di spettatori si sono dimenati da soli o in compagnia tra le proprie mura domestiche.
Insomma, non c’è dubbio che questo sia stato (come sempre) un Festival molto discusso, ma è altrettanto innegabile il successo raggiunto da questa edizione, addirittura definita da alcuni osservatori la migliore degli ultimi 17 anni. Questo successo può essere interpretato come la celebrazione di un Festival di rinascita e partecipazione. Se è vero che la pandemia ci ha stremato, questo festival sembra raccontarci anche un Paese che ha ancora molta voglia di ballare e fare festa, lasciandosi alle spalle prima possibile gli ultimi, complicatissimi, anni.
di Simona De Rosa e Raffaella Coletti