Il tour degli U2 Experience+Innocence 2018, partito a Berlino lo scorso 31 agosto, è arrivato con quattro date (10, 12, 15 e 16 ottobre) in Italia, nella città di Milano. Nell’occasione – così come in tutte le date di questo tour europeo – gli U2 hanno fatto comparire sul palco una gigantesca bandiera dell’Unione Europea, che, anche questa volta, è stata accolta da applausi scroscianti da parte del pubblico presente.
Bono aveva originariamente spiegato questa scelta in una lettera pubblicata pochi giorni prima dell’avvio del tour sul giornale tedesco Frankfurter Allgemeine, ripresa e riadattata per la Repubblica a ridosso delle date italiane. Nella lettera, Bono definisce quella degli U2 una provocazione, in una fase in cui “l’idea di Europa non è particolarmente in voga”. Bono ricorda ciò che di buono l’Unione Europea ha fatto per noi cittadini (“gli europei sono più istruiti, più al riparo dagli abusi delle grandi multinazionali e, rispetto alle persone che vivono in ogni altra regione del mondo, conducono una vita migliore, più lunga, più sana e in generale più felice”), ma soprattutto si concentra su quelli che secondo lui sono i valori fondanti dell’Unione Europea – enfatizzando la diversità, la “pluralità di appartenenze, le identità stratificate, che consentano di essere al contempo irlandese ed europeo, italiano ed europeo, non l’uno o l’altro”. Bono conclude la sua riflessione definendo l’Unione Europea “un pensiero che deve diventare sentimento”.
Il testo pubblicato a firma di Bono non dice nulla di particolarmente nuovo. Volendo sintetizzare, si tratta di una versione estesa e articolata di quello che dal 2000 è il motto ufficiale dell’Unione Europea: “Uniti nella diversità”. Allo stesso tempo, il gesto degli U2 e la lettera di Bono sono invece molto nuovi, certamente importanti e potenzialmente utili.
Un gesto nuovo
E’ vero, i contenuti della lettera di Bono, ossia le motivazioni che hanno spinto la band ad adottare questa “provocazione” non sono nuovi, né lo è l’immagine di Europa come luogo plurale e multiculturale che si vuole promuovere. Quello che è nuovo è che a dire queste cose non sia il sito ufficiale dell’Unione Europea o un politico europeista, ma una rock (ultimamente più che altro pop) band. Sono innumerevoli gli esempi di personaggi del mondo dello spettacolo che si sono schierati politicamente o che hanno apertamente sostenuto una causa, e gli U2 si sono spesso esposti in prima linea sulle più diverse questioni. Bono Vox, in particolare, ha prestato volto e voce a diverse campagne di sensibilizzazione, e anche se per molti si tratta di un personaggio controverso (su questo tema vale la pena menzionare che è uscita di recente una inchiesta da cui il leader degli U2 esce piuttosto malconcio; potete leggerne qui o, se vi interessa approfondire, acquistarla qui), resta una voce influente, se non altro per gran parte dei fan degli U2 sparsi in tutto il mondo. L’elemento totalmente nuovo, in tutto questo, è che l’oggetto della sensibilizzazione sia l’Unione Europea.
Un gesto importante
Dal canto suo, l’Unione Europea ha messo in campo numerose strategie per stimolare un sentimento di appartenenza e cittadinanza, focalizzandosi sia su aspetti materiali (si possono ricordare a titolo di esempio la libera circolazione delle persone con il trattato di Shengen, il sostegno alla mobilità degli studenti in territorio europeo con il programma Erasmus, il sostegno alla cooperazione transfrontaliera, il sostegno a progetti di ricerca realizzati da consorzi a scala europea…), sia su aspetti simbolici, mirati a lavorare sul nostro immaginario: ad esempio l’adozione di una bandiera e la sua esposizione in tutti gli edifici pubblici accanto a quella nazionale, la scelta di un inno europeo, il tentativo (non andato a buon fine) di siglare una vera e propria Costituzione europea fondata su una serie di “valori condivisi”. Eppure, nonostante l’impegno e l’attenzione consapevolmente dedicata a questi aspetti nel processo di integrazione europea, qualcosa è andato storto. Il “senso di appartenenza”, il sentirsi cittadini europei – oltre che del proprio paese di origine – è qualcosa che si è sì realizzato, ma parzialmente e in una certa misura selettivamente. Semplificando all’estremo un discorso complesso, si può dire che è certo più facile sentirsi “europeo” per uno studente universitario che abbia vissuto l’esperienza Erasmus, o per un ricercatore che collabori attivamente con i suoi colleghi di altri paesi, o per chi segue attivamente le dinamiche politiche interne ed internazionali, che per qualcuno che viva la dimensione europea come un qualcosa di lontano dalla sua vita quotidiana. Da questo punto di vista, il gesto degli U2 è importante perché la musica è un linguaggio universale, ed è in grado di trasmettere un messaggio non a una specifica nicchia o una specifica élite, ma ad un pubblico eterogeneo e trasversale. Tutti gli spettatori del tour europeo degli U2 in questo 2018 hanno assistito ad una celebrazione dell’Unione Europea ad un certo punto della serata, hanno legato le emozioni del concerto ad un certo messaggio politico e, fatte salve le opinioni di ciascuno, questa esperienza è probabilmente più efficace per sentirsi insieme parte di qualcosa rispetto a tutte le strategie messe in campo dalle istituzioni europee fino ad ora.
Un gesto utile?
Di conseguenza, un gesto come quello compiuto dagli U2, se divenisse pratica diffusa, potrebbe senz’altro considerarsi utile alla causa dell’Unione Europea. Tuttavia sull’effettiva utilità della “provocazione” degli U2 in questa fase storica è inevitabile inserire un punto interrogativo. L’Unione Europea non è semplicemente “non particolarmente in voga”, come richiamato da Bono Vox nella sua lettera, ma attraversa una crisi profonda della quale non è possibile prevedere gli esiti. Il proliferare di partiti politici sovranisti e nazionalisti, che si manifestano ad esempio nel desiderio di “riprendere il controllo” che ha determinato l’esito del referendum sulla Brexit nel 2016 o nello slogan salviniano “prima gli italiani”, influenza il discorso politico a diverse scale e in diversi ambienti, e determina il (ri)emergere di confini e barriere che mettono in discussione le radici profonde dell’integrazione europea per come è stata sinora concepita, sia in termini di pratiche, sia per quanto attiene a quella auspicata “pluralità di appartenenze” che non può più essere data per scontata. Inoltre, non si può non accennare al fatto che la gestione problematica della delicata questione dei flussi migratori, che coinvolge sia l’Unione europea sia i singoli Stati membri, pone una serie di interrogativi più profondi sul senso stesso dell’integrazione europea, sui suoi valori fondanti, e sulla corrispondenza tra l’immagine di una Europa aperta e multiculturale e una realtà fatta di ambiguità e contraddizioni. In questo quadro, c’è davvero ancora spazio per promuovere una idea di Unione Europea come quella sostenuta dagli U2? E c’è ancora spazio per far sì che l’Unione diventi davvero quello che dice di (voler) essere?