Gorizia e Nova Goriza, le città gemelle al confine tra Italia e Slovenia, saranno Capitale Europea della Cultura nel 2025. L’annuncio dell’assegnazione di questo ambito riconoscimento è arrivato il 18 dicembre scorso, alla fine di questo 2020 funestato dalla pandemia. Anche l’altra città che ricoprirà il ruolo nel 2025, la tedesca Chemnitz, è una città di confine (con la Repubblica Ceca), che subì gravissimi danni durante la Seconda Guerra Mondiale.

Qualche tempo fa avevamo scritto della storia ed evoluzione della “Capitale Europea della Cultura” e della sua rilevanza in ambito di place branding riflettendo sull’esperienza di Matera 2019. Il programma, che ha visto la sua prima edizione nel 1985, attribuisce il titolo a città europee (una fino al 1999, due a partire dal 2000) per la durata di un anno, durante il quale le città in questione organizzano un fitto calendario di manifestazioni per promuovere e valorizzare il proprio patrimonio culturale. L’assegnazione del titolo è molto ambita, e la preparazione delle candidature richiede un grande impegno. Per questo a partire dagli anni 2000 l’UE ha introdotto un meccanismo di selezione che prevede per ogni membro UE la possibilità di ospitare a turno la capitale. Gorizia e Nova Goriza erano candidate dalla Slovenia, a cui comunque spettava l’organizzazione dell’evento in una delle sue città nel 2025.

La candidatura di Gorizia e Nova Goriza, dal titolo evocativo di “Go! Borderless” ha puntato sostanzialmente sull’elemento della frontiera e della cooperazione transfrontaliera, che determinano la particolarità della città. Si legge sul sito del programma di candidatura “Nova Gorica e Gorizia condividono lo stesso impegno: divise dai conflitti nel passato, ma unite nel presente dall’amicizia e dall’intensa cooperazione, le due città si sono date l’ambizioso obiettivo di diventare la Capitale Europea della Cultura transfrontaliera” (www.go2025.eu). Lo strumento di coordinamento utilizzato per la campagna è  un Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT GO), strumento dotato di personalità giuridica istituito in ambito europeo per facilitare e la cooperazione territoriale tra i suoi membri al fine di rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale dell’UE.

Il progetto è improntato sulla cooperazione e riconciliazione di un’area di frontiera priva di barriere fisiche, ma che richiede al tempo stesso un continuo impegno verso la collaborazione, lo scambio, il conoscersi meglio, la condivisione di una diversa memoria sui conflitti del passato. Pone al centro quattro temi di rilevanza europea: la valorizzazione dei meccanismi europei attraverso la scelta del GECT come strumento di gestione; l’attenzione alle minoranze, attraverso il caso emblematico della minoranza slovena; la necessità di azioni locali per cambiamenti globali; e l’esigenza di creare nuove sinergie urbane. Tutti questi temi esaltano la specificità della frontiera e delle sue difficoltà ed opportunità. Particolarmente evocativa da questo punto di vista è la descrizione che lancia la visione del progetto:

Date un’occhiata alla ripresa aerea di quest’area. Dov’è questo confine di cui tutti parlano? Dov’è questa cortina di ferro, questo doloroso taglio che separa e limita i movimenti e la vita delle persone su entrambi i lati? Non si vedono ostacoli fisici, non c’è nessuna chiara linea di demarcazione. Le due città appaiono come un’unica realtà urbana con case, strade e aree verdi con il fiume Isonzo che scorre al loro fianco. Eppure, un confine c’è. In realtà più di uno. La visione di GO! borderless è quella di creare uno spazio urbano in cui viviamo insieme in due città che a tutti noi appaiono come una sola. Vogliamo portare la consapevolezza che siamo e siamo sempre stati al centro dell’Europa, nonostante la sensazione di essere alla periferia di entrambi gli stati e che tutti si siano semplicemente dimenticati di noi.

Il superamento dei confini per la creazione di una identità europea è da sempre un obiettivo centrale delle politiche europee, perseguito con strumenti diversi e a diverse scale. La creazione del mercato unico, al centro del progetto europeo, ha abolito le frontiere per quanto attiene alla circolazione delle merci. Il trattato di Shengen ha fatto sparire i confini per la libera circolazione delle persone. I programmi di cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale nell’ambito della politica di coesione hanno favorito le relazioni a scala locale e regionale, stimolando il superamento degli “ostacoli di frontiera” che le aree di confine affrontano nella quotidianità. Il sostegno all’interazione alle frontiere mira anche a stimolare nuove centralità europee in aree “periferiche” nei rispettivi territori nazionali.

Al tempo stesso, come noto, negli ultimi anni le frontiere nazionali sono tornate prepotentemente al centro della scena, anche nell’ambito del progetto europeo. L’esempio più lampante è la Brexit, che dopo l’uscita ufficiale della Gran Bretagna dall’UE lo scorso 1 febbraio ha in questi giorni visto il completamento dell’uscita dal mercato unico, con il conseguente ristabilirsi del confine britannico rispetto al resto dell’Unione Europea.  Ma si tratta appunto solo dell’esempio più significativo di un atteggiamento nazionalista e sovranista che negli ultimi anni è risultato diffuso e pervasivo negli Stati membri. Questo atteggiamento ha spesso accompagnato misure parziali o generali di chiusura delle frontiere nell’ultimo decennio, a fronte di minacce reali o percepite. La minaccia terroristica, la gestione dei flussi migratori e, più di recente, la crisi sanitaria (ed economica e sociale) prodotta dalla pandemia di Covid 19 poi, hanno posto sotto i riflettori la chiusura delle frontiere, come misura di contenimento che mira a far sentire i cittadini europei più sicuri.

In questo clima, la scelta di Gorizia e Nova Goriza come Capitale Europea della Cultura risulta particolarmente significativa, sotto il profilo simbolico e materiale. Non solo per superare le “cicatrici della storia” che ancora attraversano il confine orientale e che sono richiamate nel documento programmatico, non solo per stimolare la creazione di un nuovo “centro” transnazionale e transfrontaliero, ma anche per continuare a promuovere la collaborazione e la coesione europea contro gli individualismi nazionali, proseguendo a immaginare e riempire di significato un futuro europeo comune, a partire dalla dimensione locale.