“I cittadini ci hanno chiesto di difendere i confini italiani e questo governo non tradirà la parola data”. Con queste parole Giorgia Meloni, la neo-eletta presidente del Consiglio, ha commentato le vicende che in questi giorni hanno riguardato le navi di organizzazioni non governative che chiedevano di consentire lo sbarco di numerosi esseri umani salvati da imbarcazioni di fortuna nel loro tentativo di attraversare il mar Mediterraneo.
La narrativa adottata da Giorgia Meloni non rappresenta in nessun modo una novità; riprende anzi alla lettera quella adottata dalla maggior parte dei partiti sovranisti d’Europa negli ultimi decenni, da Orban alla Le Pen, fino a Farage e a tutti i sostenitori della Brexit. Per rimanere in tema, non c’è in effetti bisogno di superare i nostri confini per trovare esempi calzanti: la demonizzazione dell’immigrazione è stata un tratto distintivo anche nel cosiddetto governo “giallo-verde”, in cui l’allora Ministro dell’interno Matteo Salvini ha adottato strategie di territorializzazione delle minacce, utilizzando i confini come luoghi simbolici in cui “riprendere il controllo” del paese e, metaforicamente, delle vite dei cittadini. E’ rispetto alla stanchezza e disillusione dei cittadini elettori, infatti, che il tema migratorio diviene centrale nella narrativa della destra sovranista, come tema su cui canalizzare lo scontento a discapito di altri possibili obiettivi.
Non stupisce quindi che le migrazioni siano tornate al centro della vita politica da un giorno all’altro non a fronte di un oggettivo aumento dei flussi, ma solamente a fronte di un soggettivo cambio di prospettiva: con la destra al governo la migrazione torna ad assumere il ruolo di minaccia primaria e quasi unica all’ordine e alla sicurezza, e i confini divengono il campo in cui si combatte questa “battaglia di civiltà”, tornando metaforicamente a svolgere un ruolo di difesa dagli “invasori”, come le mura erette a protezione dei castelli o delle terre nell’antichità.
La narrativa sovranista propone questa lettura focalizzandosi su quelli che sono confini dell’Italia ma anche dell’Unione europea, quelli cioè da cui provengono i migranti; non certo dei confini interni che separano l’Italia dagli altri paesi europei e che sono stati di fatto smantellati dal processo di integrazione. Tuttavia, come noto, l’enfasi sui confini “esterni” sta producendo effetti anche su quelli interni.
Si è iniziato con le relazioni italo-francesi. La nota di palazzo Chigi ha scatenato una querelle tra Italia e Francia, aprendo un nuovo capitolo nel rapporto conflittuale che i due paesi hanno condiviso negli ultimi anni e che sembrava aver raggiunto una tregua grazie alla firma del Trattato del Quirinale nel novembre 2021. La questione non si gioca solamente sul piano “immateriale” della politica estera, ma ha conseguenze molto concrete sul territorio, con la Francia che ha inviato 500 gendarmi alla frontiera per intensificare i controlli di confine. E’ chiaro che il tema migratorio rappresenta una, e una soltanto, delle molteplici relazioni che legano i due paesi, e la telefonata tra Macron e Mattarella sembra aver smorzato le polemiche in atto. Sempre sulla frontiera, ad esempio, sono in atto importanti iniziative di cooperazione nel contesto europeo e bilaterale. Tuttavia la rilevanza di determinate narrative e iniziative non deve essere sottovalutata.
I confini interni dell’Ue, scomparsi dalla nostra percezione dopo la creazione del mercato unico e l’adozione del protocollo di Shengen, sono già tornati alla ribalta negli ultimi decenni, per il contenimento dei flussi migratori prima e per l’emergenza del Covid-19 poi. Un dato impressionante e chiarificatore emerge guardando alle sospensioni unilaterali di Shengen dalla sua adozione ad oggi: dal 2006 al 2015, in dieci anni, si sono registrate 40 sospensioni, per lo più legate a ragioni di sicurezza per eventi internazionali; dal 2015 al 2020, in cinque anni, le sospensioni sono poco meno di 100, legate prevalentemente alla prevenzione dei flussi migratori irregolari e della minaccia terroristica; tra il 2020 e il 2022, in tre anni, vi sono state circa 200 sospensioni motivate dal Covid-19, spesso decise unilateralmente e sempre a livello nazionale, con limitato o nullo coinvolgimento delle comunità locali.
Questi dati non necessitano di ulteriori commenti, ma solo di una considerazione conclusiva: se è vero che la scomparsa dei confini interni è uno dei segni più tangibili della integrazione europea, spaventa chiedersi cosa potrebbe associarsi alla loro continua rimaterializzazione, tanto cara ai partiti sovranisti.