Anche se mi sarebbe molto piaciuto esserlo, non sono una cineasta, non sono un’esperta di critica cinematografica e né tanto meno un’addetta ai lavori. Chiarito questo punto posso affermare che questo post non vuole essere in alcun modo una recensione dell’ultimo film di Ferzan Ozpetech, Napoli Velata, dato che certamente non sarei in grado di produrne una degna di questo nome. Quello che però mi sento di fare è scrivere qualche riga sul tema di fondo del film e sulla rappresentazione della città fornita dal regista in base a quelle che sono state le mie impressioni da napoletana e da geografa.

Iniziamo col dire che ciò che mi ha colpito del film è stato che Napoli, più che una location in cui la storia è ambientata, diventa per la trama un personaggio chiave, come se fosse un’attrice o una voce narrante fuori campo, abile nell’influenzare con la sua atmosfera magica, quasi esoterica, e con il suo potere le vite ed i comportamenti dei personaggi. Napoli emerge quasi come una presenza fisica in molte scene rendendo, anche per questo, particolarmente tangibile il riferimento al tema “vedo non vedo” che il regista ha voluto comunicare con il suo ultimo lavoro. Riflettendo su ciò che è visibile e su ciò che non lo è in relazione alla città, quello su cui mi sembra interessante soffermarsi è: quanto Napoli è quello che si vede e quanto invece la realtà è nascosta sotto la superficie dell’apparenza? Insomma..cosa è reale?

Per rispondere a questa domanda, mi sembra quasi che Ozpetek abbia giocato sulla rappresentazione della città applicando una specie di ossimoro.

Mi spiego meglio, siamo abituati a delle rappresentazioni di Napoli, diciamolo, per nulla lusinghiere. Non è sorprendente per i napoletani sentire i racconti di una città pericolosa, sporca, invivibile nei telegiornali o in altre forme di media. Giusto per citare un esempio recente, in una recente puntata di “Che tempo che fa” il conduttore Fabio Fazio mostra al Premier Gentiloni immagini rappresentative di quattro diverse realtà italiane, tre immagini positive e un esempio molto negativo…Indovinate quale sia stata l’immagine scelta per rappresentare l’Italia che non va? sì, ovvio, Napoli..Non che le difficoltà siano inventate, per carità, tuttavia quello che sostengo da tempo è che troppo spesso ci si dimentica che accanto a situazioni critiche esistono anche lati positivi della città che andrebbero quanto meno raccontati.

Detto questo, nel film di Ozpetek si assiste ad una rappresentazione della città a cui non siamo abituati. In primo luogo, per quanto riguarda gli interni, il film è ambientato nei salotti napoletani del centro, nelle gallerie d’arte, negli appartamenti con vista sul mare..Insomma, ambientazioni molto diverse dalle vele di Scampia. Questo già pone lo spettatore dinnanzi a degli ambienti belli, soleggiati, lussuosi, restituendo alla città un pezzo di realtà che spesso è omessa nelle narrazioni e che invece è fondamentale per far comprendere il contesto urbano a chi non lo conosce. In secondo luogo, anche gli esterni sono essenziali nella descrizione della “Napoli Velata”. Le strade di Chiaia, così come i vicoli del centro storico, appaiono pulite, sicure, accessibili ai numerosi non vedenti che compaiono sullo sfondo. Infine, il carattere della città, che come dicevo emerge come fosse quello di un’attrice principale, è di una città aperta, tollerante, onesta, sana e magica, misteriosa. Tutto questo si evince dai tanti indizi disseminati nel film, giusto per citarne alcuni: nel film i motorini sono guidati sempre da persone che indossano il casco, la spiaggia di Mergellina è pulita e ben frequentata, il bambino chiede al papà di mangiare una mela come spuntino, non c’è alcun tipo di discriminazione contro i gay, contro i non vedenti, contro l’obesa signora che giace nel suo letto e né tanto meno è utilizzato un tono canzonatorio nei confronti delle tradizioni popolari, che sia la cosidetta “tombola dei femminelli” o la storica propensione all’esoterismo. Insomma, tutti connotati estremamente positivi che restituiscono un’immagine di Napoli che sembra quasi idilliaca. Per non parlare dei tanti richiami, espressi o meno, al patrimonio artistico, storico e culturale degni di un spot dell’ ENIT, ma sicuramente più capaci di quest’ultimo nel suscitare un interesse immediato nello spettatore circa gli incantevoli posti mostrati nel film. Anche in questo caso tuttavia, la bellezza mostrata dalla macchina da presa è superficiale, scavando nella trama del film, emergono poteri loschi e pericolosi. La sorpresa (attenzione spoiler) è che questi non sono quelli a cui siamo abituati nei film e nelle serie tv. I malfattori non sono, infatti, sguaiati camorristi che parlano in dialetto, ma due signore dell’alta borghesia napoletana che dai propri salotti della “Napoli bene” intessono pericolose trame che terminano in brutali assassini.

Come dice il piccolo principe “l’essenziale è invisibile agli occhi”; l’essenziale è dunque invisibile quando si guarda un servizio al TG che riporta la pericolosità di Napoli; allo stesso modo, esso è invisibile quando si guarda la bellezza del golfo di Napoli in una giornata di sole a Gennaio. In un caso, si dimentica la bellezza di una città che è anche sicura, ospitale e con un potenziale immenso. Nell’altro, si dimenticano le fragilità e le criticità con cui Napoli, ancora, strenuamente, combatte. E’ questo, a mio avviso, il “vedo non vedo” a cui il film di Ozpetek fa riferimento.

Al netto di queste riflessioni, Ozpetek ci consegna l’immagine di una città per cui credo sia doveroso ringraziarlo, se non altro perché racconta una parte della città spesso omessa dalla narrazione mainstream. Una città aperta, viva e magica. Sì, perché Napoli avrà sicuramente tanti difetti, ma è una città vibrante, in movimento. E lo è soprattutto in questo momento in cui sta mostrando tutta la propria forza e la propria resilienza nell’uscire da anni difficili di crisi economica e risorgere, come la più bella delle fenici, proprio come fosse uscita da un film di Ferzan Ozpetek.