Il termine populismo è vago e, in effetti, contestato. E’ stato interpretato come una ideologia, come uno stile discorsivo, come una strategia politica; o come un mix di queste tre dimensioni. L’etichetta di populismo è stata adoperata per descrivere movimenti anche molto distanti tra loro, nel tempo e nello spazio; tuttavia, in termini molto generali, il populismo può essere definito come il movimento del “popolo” contro le “élite”; o, più precisamente, una lotta tra insindacabili “scelte del popolo” e una élite corrotta e cospiratrice.

La diffusione di partiti populisti rappresenta sicuramente un elemento caratteristico dell’epoca contemporanea. Siamo abituati a focalizzarci sull’esperienza europea o statunitense che conosciamo più da vicino, ma è bene ricordare che il populismo è attualmente un fenomeno globale (si vedano ad esempio a questo proposito i rapporti di Human Rights Watch 2017 e 2018). Quello dell’Unione Europea rappresenta comunque un esempio particolare, alla luce della integrazione sovranazionale che la caratterizza. Non è un caso che, all’interno dell’Unione Europea, le posizioni populiste si sposino (quasi sempre) con atteggiamenti dichiaratamente euroscettici. Se il populismo contrappone il “popolo” alle “élite”, all’interno dell’UE gli “eurocrati” vengono spesso fatti rientrare nella seconda categoria: vengono cioé indicati come membri delle élite (corrotte) a cui il popolo vuole e deve “opporsi”.

Abbiamo recentemente parlato di populismo in questo blog a partire da un’opera di narrativa; lo facciamo oggi a partire da un saggio, “Geografia economica dell’Europa sovranista”, di Gianmarco Ottaviano, pubblicato per Laterza a marzo 2019. Il libro tratta un tema di estrema attualità, e lo fa adottando un linguaggio semplice e chiaro, che lo rende accessibile e interessante non solamente per gli “addetti ai lavori”.

Facendo riferimento alla geografia economica dell’Unione Europea, il volume di Ottaviano cerca di rispondere sostanzialmente a due domande: innanzitutto, quali sarebbero in pratica le conseguenze di una uscita dall’UE, per il paese e per l’Unione nel suo insieme? Su questo punto la risposta è abbastanza immediata: tutte le analisi e proiezioni svolte per il caso britannico hanno infatti dimostrato che una uscita dall’UE avrebbe effetti negativi importanti sull’economia di un paese, e sull’UE nel suo complesso, anche se in misura minore.

E allora, perché l’euroscetticismo e il fantasma di una “exit” hanno oggi così presa sui cittadini europei? Su questo tema, il  punto centrale che emerge dalle analisi presentate nel libro è che, sebbene i benefici dell’integrazione siano dimostrati, questi non sono distribuiti equamente tra tutti i cittadini. La promessa di sviluppo economico inclusivo, alla base del processo di integrazione europea, non è stata mantenuta. Anzi, gli squilibri regionali negli ultimi anni non hanno fatto che acutizzarsi, in particolare per gli effetti della globalizzazione. Le economie locali che soffrono maggiormente sono anche quelle in cui il voto populista risulta prevalente, nel Regno Unito come altrove. La geografia economica dell’Europa risulta dunque centrale per comprendere l’attuale panorama politico.

Ottaviano interpreta la crisi attuale dell’Unione europea come derivante, almeno in parte, da una serie di malintesi: quello di imputare all’UE i problemi derivanti dalla globalizzazione, innanzitutto, e quello di nutrire tanta più sfiducia nei confronti dell’UE quanta più ne nutriamo nei confronti dei nostri governi nazionali (come confermano anche i recenti dati dell’Eurobarometro). In altre parole, il nostro giudizio sull’Unione europea è spesso conseguenza diretta delle percezioni e opinioni che nutriamo verso le istituzioni e la politica interna, e non si basa su una reale conoscenza e considerazione di quello che l’UE è e fa. In conclusione, per contrastare la crescente diffusione della retorica populista, l’autore suggerisce di recuperare un dibattito sull’Unione europea che non sia esclusivamente articolato su considerazioni economiciste, anche in considerazione del crescente ruolo di vecchie e nuove potenze globali, a fronte delle quali diviene ancora più importante mantenere una unità di intenti nell’Unione europea.

Il volume offre sicuramente una serie di spunti interessanti; soprattutto, dal mio punto di vista, l’elemento centrale rimane il tradimento della promessa di sviluppo economico inclusivo e diffuso che era alla base del progetto di integrazione europea. L’aumento delle disuguaglianze e l’incapacità di avviare processi di convergenza e coesione tradisce lo spirito del processo di integrazione per come era stato concepito, e inevitabilmente mette in discussione l’integrazione europea nel suo complesso. Da questo punto di vista, è sempre più evidente che l’Unione europea è composta da due facce: quelli che si sono avvantaggiati – o sentono di essersi avvantaggiati – dell’integrazione, e quelli che da questi vantaggi si sentono esclusi. Questa dicotomia non si realizza solo a livello economico, ma anche culturale (come in parte abbiamo discusso qui); ed è il principale elemento che a mio giudizio spiega la crescente diffusione di una retorica populista.

Sono d’accordo con l’invito dell’autore a riaprire un dibattito sui vantaggi dell’integrazione che non si limiti a considerazioni ti tipo economico; ma penso che la spinta per fare questo non debba essere il timore per l’evoluzione del quadro geopolitico. Sebbene questo rappresenti senz’altro un importante elemento da prendere in considerazione, stabilizzazione e difesa dello status quo a fronte di minacce esterne (reali o percepite) difficilmente vanno di pari passo con processi democratici e partecipativi. Il superamento della retorica populista e la costruzione di un futuro dell’Europa non possono invece prescindere dalla  costruzione di un dibattito aperto ed inclusivo, a partire da una presa di coscienza collettiva e costruttiva dei fallimenti del passato, sulla cui base poter ricostruire un progetto comune a cui (ricominciare a) guardare con fiducia.

* Il testo costituisce una rivisitazione costruita a partire dalla mia recensione del volume di Gianmarco Ottaviano “Geografia Economica dell’Europa sovranista”, Laterza, 2019, in pubblicazione presso la Rivista Geografica Italiana.