È disponibile su Disney+ la prima (e unica, visto che nonostante un ottimo riscontro di pubblico – la serie non è stata rinnovata) stagione di High Fidelity (Alta Fedeltà). La serie, del 2020, racconta attraverso dieci episodi la storia di Rob, proprietaria di un negozio di dischi a New York (il Championship Vynil) che, dopo la rottura con il suo promesso sposo, decide di ricontattare i suoi ex più memorabili alla ricerca di un senso nella sua vita sentimentale. Come evidente dalla scelta del titolo (gli impianti stereo ad “alta fedeltà” sono quelli che garantiscono una riproduzione del suono di ottima qualità) la musica gioca un ruolo fondamentale, nella serie così come nella vita della protagonista e dei suoi comprimari, tra cui spiccano i commessi del negozio e amici Cherise e Simon.
Come accade ultimamente con molte produzioni televisive, la serie è l’adattamento di un film, uscito nel 2000 con protagonista John Cusak, che a sua volta è la trasposizione cinematografica del romanzo cult di Nick Hornby, pubblicato nel 1995.
Come già menzionato in altri casi, l’adattamento di uno stesso “prodotto” attraverso il tempo e lo spazio offre sempre molti spunti di riflessione, perché attraverso la differenze tra l’una e l’altra versione risulta connotato il contesto culturale e sociale nel quale l’idea viene sviluppata, nonché il pubblico a cui si rivolge. Nel caso di Alta Fedeltà le versioni su cui si può ragionare sono addirittura tre, espresse in formati profondamente diversi tra loro: un libro, un film, e una serie TV.
In termini di contenuto vi è una certa corrispondenza tra il film e il romanzo (per quanto sia possibile rimanere fedeli ad un libro con una trasposizione cinematografica di meno di due ore); mentre il salto maggiore si realizza tra i primi due e la serie TV. Sono passati 20 anni dall’uscita del film e ben 25 dall’uscita del romanzo, e un confronto tra i tre prodotti ci mostra con chiarezza come la nostra percezione e rappresentazione del mondo sia cambiata profondamente.
Rob (Robert), il protagonista del romanzo di Nick Hornby (peraltro ancora oggi divertentissimo) si muove in un mondo di uomini bianchi e etero. Nel racconto sono rappresentate figure femminili anche molto diverse tra loro, ma l’unico ruolo che ricoprono è in funzione degli uomini al centro della storia – le fidanzate di Rob, sua madre, gli interessi romantici degli altri protagonisti. Rob cerca stabilità e si interroga sul perché gli sfugga di mano; la morale della storia, se ce n’è una, è che a un certo punto si deve crescere, e che non è poi così male come potrebbe sembrare.
Il film, come già detto, rappresenta una trasposizione abbastanza fedele del romanzo; l’unica concessione ad una rappresentazione maggiormente inclusiva rispetto a quest’ultimo è la trasformazione della cantante country, interesse romantico del protagonista nel libro, nella cantante soul nera Marie De Salle (interpretata da Lisa Bonet) nella versione cinematografica. John Cusak ha spesso la sigaretta in mano. Il suo negozio di dischi è simile a mille altri negozi, a Chicago come nel resto del mondo, anche se è certamente un posto per appassionati.
Rispetto a queste due versioni, la serie TV compie una rivoluzione. Rob (Robyn), innanzitutto, è una donna nera (interpretata da Zoe Kravitz). È lei la proprietaria del negozio di dischi e protagonista della storia. Lavorano con lei Simon, uomo bianco omosessuale, e Cherise, vulcanica donna nera (contraltare femminile del ruolo che nel film è di Jack Black). Le storie di Rob ripercorse o vissute durante gli episodi sono prevalentemente con uomini, ma tra le “cinque più grandi fregature della sua vita” spicca anche una donna (il ruolo che nel film è di Catherine Zeta Jones). Nella lista vi è anche il suo amico Simon, con il quale la storia si è interrotta quando lui si è scoperto gay, e il rapporto tra i due è passato fluidamente dall’amore all’amicizia. Rob fuma ogni tanto, ma viene guardata con riprovazione praticamente da tutti quelli che la circondano, ed è sempre sul punto di smettere. Il suo negozio di vinili è chiaramente un posto per appassionati, in un mondo di playlist e spotify. La morale della storia, se ce n’è una, è che bisogna sì imparare dai propri errori, ma bisogna guardare al futuro, e smetterla di arrovellarsi sul passato.
Libro, film e serie TV condividono una serie di passaggi e di battute che sono ripresi in modo letterale; il che rende ancora più evidente la differenza tra i contesti nell’ambito dei quali si dipana la stessa storia.
In termini spaziali, la storia è ambientata in tre città (Londra nel testo di Hornby, Chicago nel film del 2000, New York nella serie TV del 2020): ciascuna di esse ha una centralità nel racconto (in particolare – ma non solo – con i riferimenti alla scena musicale) e non è solamente contenitore o sfondo “a-territoriale”. Tuttavia la storia di Rob e i suoi turbamenti amorosi e esistenziali sono perfettamente credibili in tutti e tre i contesti. Analogamente, la musica ha un ruolo essenziale nella storia e nel modo in cui viene raccontata, in tutti e tre i prodotti: chiaramente non è la stessa musica nelle tre versioni, ma ha sempre un perfetto senso.
Questo mi sembra ricordarci che non importa quanto il mondo attorno a noi possa cambiare, alcune cose sono connaturate all’esperienza umana. Tra queste spiccano sicuramente i sentimenti e l’arte: nel caso di alta fedeltà, la difficoltà a trovare il proprio posto nel mondo, così come quella di riuscire davvero ad amare e lasciarsi amare, risuonano come sentimenti universali, e in questo caos la buona musica si conferma, sempre, come una buona compagnia di viaggio.